Normativa, sui licenziamenti ingiustificati interviene la Consulta: NO alla rigidità nel calcolo dei risarcimenti
LA CONSULTA INTERVIENE SUL JOBS ACT ANNULLANDO IL CRITERIO DELLA RIGIDITA’ DEI RISARCIMENTI IN CASO DI LICENZIAMENTO INGIUSTIFICATO.
E il Jobs Act sotto processo accusa il colpo, coinvolto il nuovo Governo. L’indennità risarcitoria in caso di licenziamento deve essere ispirata ai criteri di ragionevolezza, equilibrio, proporzionalità, eguaglianza, buona fede (sono i principi del diritto ricorrenti nel nostro sistema costituzionale in qualche modo violati, ma richiamati dalla recente sentenza della Corte Costituzionale).
Sotto accusa sono le norme che il Governo passato ha votato ed il Parlamento approvato nel contesto della nuova disciplina del LAVORO, peraltro non scalfite dal Governo ora in carica, riguardo alla disciplina dei risarcimenti dovuti in caso di licenziamento dei lavoratori da parte delle imprese, che hanno contemplato rigidità totale sui criteri del risarcimento spettante in caso di licenziamento ingiustificato (non l’obbligo di reintegro, salvo casi eccezionali, ma con il jobs act un risarcimento da 4 a 24 mesi e con il “decreto dignità” da 6 a 36 mesi, in relazione alla mera anzianità di servizio) (c.f.r. D. Lgs. 23/2015 art. 3 comma 1 (*).
Ora i ricorsi legali sommergeranno i Tribunali e molti datori di lavoro – devono essere i Giudici a decidere caso per caso la somma del risarcimento dovuto a prescindere dal considerare solo il requisito dell’anzianità di servizio prestato – ancora una volta emerge l’incapacità di chi governa ad affrontare con equità le criticità in cui possono incorrere i lavoratori, a causa dei comportamenti a volte discriminatori delle imprese.
D.Lgs. 4 Marzo 2015, n. 23. Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (3).
Art 1
(omissis)
- Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità. (nel Jobs Act i limiti erano da quattro a 24 mesi, poi è intervenuto il “decreto dignità” che ha introdotto da sei fino a trentasei mesi).
- Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all’articolo 2, comma 3.
In allegato il testo del decreto imputato attualizzato con la modifica del “decreto cosiddetto dignità”.