Poste, ordinanza della Cassazione interviene e censura comportamenti: nel lavoro è necessario garantire con adeguatezza l’incolumità del personale dipendente
La questione di cui ci occupiamo è fondamentale, soprattutto laddove esistono condizioni tali da richiamare la necessità che tutti i presidi datoriali, organizzativi e di sicurezza siano adeguati e tali da salvaguardare l’incolumità dei lavoratori nelle situazioni di pericolosità.
E’ comunque il Datore di lavoro che risponde degli eventuali danni che possono ricadere sui lavoratori alle sue dipendenze, a maggiore ragione nelle situazioni più pericolose: l’esempio più classico è la necessità che siano sempre predisposte le misure di prevenzione e difesa dei lavoratori applicati al pubblico (es. uffici postali), più esposti agli eventi delle rapine, ed è il datore di lavoro responsabile per i danni alla salute che potrebbero derivare agli stessi nei casi più estremi, laddove si verificassero condizioni tali da esporli a danni fisici, o morali.
Ci richiamiamo a due articoli del CODICE CIVILE che recitano:
- Articolo 2087. (Tutela delle condizioni di lavoro). L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
- Art. 2104. (Diligenza del prestatore di lavoro). Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Il casus belli è la controversi sorta fra una dipendente di Poste italiane e l’Azienda: la prima aveva lamentato ed era ricorsa in Giudizio per avere ricevuto danni biologici (disturbo post-traumatico da stress di grado grave stabilizzatosi solo nel 2005, quale conseguenza delle dieci rapine subite presso menzionati uffici postali tra il 1985 ed il 2005), avanzando richiesta di un adeguato risarcimento.
La condizione – portata nel Tribunale di Napoli – era valsa una sentenza favorevole alla dipendente (…parziale accoglimento della domanda, riconosciuta la responsabilità di Poste Italiane S.p.A. per i danni occorsi alla dipendente, condannato al relativo risarcimento…), successivamente nell’Appello proposto dalla Società, la Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 7.5.2014, aveva rigettato il gravame interposto dalla società datrice di lavoro, avverso la pronunzia del Tribunale.
In ultimo la Corte di Cassazione adita dalla Società, nell’adunanza camerale del 25 settembre 2019 (ordinanza del 25 settembre 2019, n. 15105 pubblicata il 15.07.2020) ha riconosciuto le ragioni della dipendente di Poste italiane (… deve osservarsi che, nel caso di specie, l’onere della prova gravava sul datore di lavoro, che avrebbe dovuto dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno – prova liberatoria – derivato alla ……………., attraverso l’adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche, di cui, correttamente, i giudici di merito hanno ravvisato la violazione, ritenendo la sussistenza del nesso causale tra il danno occorso alla lavoratrice, a seguito delle dieci rapine subite, e l’attività svolta dalla stessa, senza la predisposizione, da parte della datrice di lavoro, di adeguate misure dirette a tutelare i dipendenti; che, pertanto, è condivisibile la conclusione cui i medesimi sono giunti, dopo avere messo in evidenza la mancanza della prova liberatoria da parte della società datrice di lavoro, trattandosi di responsabilità contrattuale per omessa adozione, ai sensi dell’art. 2087 c.c., delle opportune misure di prevenzione atte a preservare l’integrità psico-fisica del lavoratore sul luogo di lavoro…).
La Corte ha condannato la Parte resistente alle spese e pertanto è stato riconosciuto il risarcimento alla lavoratrice.
Nel caso citato le prime sentenze avevano indicato che nell’epoca dei fatti <<…la predisposizione, da parte della società, di misure di sicurezza quali l’impianto di telesorveglianza, la bussola multitransito, la cassaforte con apertura a tempo programmata, la cassaforte con apertura programmabile …, l’impianto di teleallarme a tastiera programmata e i vari pulsanti antirapina direttamente collegati a ……… erano tutte misure dirette a non rendere fruttuosa per gli assalitori una azione criminale di rapina, ma non certo a tutelare i dipendenti. Il fine, dunque, non era certamente quello di proteggere i lavoratori dalle rapine ma di fare in modo che queste non recassero troppi danni alla azienda…>>.
Forse, si sarà trattato di un caso limite, ma il problema delle rapine negli Uffici Postali negli anni passati è stato certamente all’ordine del giorno ed ha causato innumerevoli situazioni difficili ai lavoratori di Poste italiane, allorché l’Azienda trasformava i suoi uffici passando da un tipo di lay-out (uffici blindati) ad un altro (open) con i suoi tempi e le programmazioni, mentre i malversatori…..
Oggi è il caso che tutti riflettano sui due articoli del Codice Civile sopra riportati: l’uno riguarda i lavoratori, ma l’altro é in capo all’Azienda che deve esercitare i suoi poteri di organizzazione, calcolando il rischio di impresa, ma assicurando che i lavoratori siano adeguatamente salvaguardati.
Per leggere il testo completo dell’ORDINANZA il link è http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ inserire il riferimento 15105/2020 nello spazio per le ricerche.