rapine

Nel mese di aprile 2015 la Corte di Cassazione ha emanato una sentenza particolarmente importante per i lavoratori di Poste italiane applicati negli uffici postali e particolarmente per quelli in servizio nelle Casse, ivi compreso il personale incaricato della movimentazione e contabilizzazione del “numerario”.

Un ulteriore motivo di interesse è dato dal riconoscimento del rischio connesso alle fasi di apertura e chiusura degli uffici postali: tali momenti innestano rischi per il personale addetto e pertanto da parte del Datore di Lavoro va considerata la necessità, anzi l’obbligo di approntare quei mezzi di tutela, concretamente attuabili secondo la tecnologia disponibile nel periodo, almeno potenzialmente idonei a tutelare l’integrità fisica del lavoratore. Il che non significa che tali mezzi dovessero essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi dovevano consistere in quelle misure che, secondo criteri di comune esperienza, potevano risultare atti a svolgere, al riguardo, una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva”. 

La variegata composizione delle strutture postali e degli stessi edifici ospitanti i suddetti, fa considerare che il Datore di Lavoro debba prendere in considerazione ed aggiornare, sulla base delle esperienze ricorrenti, qualsivoglia misura specificamente diretta ad impedire o prevenire o, comunque, rendere più difficoltoso ed aleatorio il realizzarsi di eventi criminosi analoghi, nelle loro modalità di realizzazione, a quelli in concreto verificatisi”.

Fra le altre necessità (opere, tecnologia e manufatti dissuasivi sia per la prevenzione, sia per la sicurezza vera e propria dei lavoratori e dei clienti di Poste italiane, oltre che dei beni) c’è l’obbligo della formazione mirata dei lavoratori sul rischio rapine ( un evento che deve essere considerato come uno dei rischi collegati  all’attività di lavoro prestata dal personale applicato negli uffici postali (Quadri e Sportellisti) e per questo rientrante fra quelli su cui occorre formare adeguatamente i lavoratori in applicazione dei disposti di legge – D. Lgs.vo 81/2008).

Anche il sindacato ha le sue responsabilità, come ogni R.L.S., perchè moralmente sono queste le strutture rappresentative dei lavoratori chiamate a vigilare sui comportamenti corretti del datore di lavoro nell’ambito della sicurezza e prevenzione (incontri, osservatori, riunioni periodiche, richieste di informative mirate, ricorso alle Autorità competenti se necessario).

La necessità di inserire la rapina tra i rischi di natura professionale, è nel Decreto Legislativo 81/2008 con l’obiettivo di tutelare l’integrità del lavoratore, sia sotto il profilo fisico, sia psichico. È quindi un obbligo del datore di lavoro informare i propri dipendenti dei rischi connessi alle loro attività. Infatti comportamenti del personale appropriati, nei momenti di rischio, possono assumere un peso rilevante.

Pertanto è indispensabile che tutti operino nel modo più appropriato e che conoscano gli strumenti di prevenzione del rischio rapine, il corretto utilizzo delle misure e dei dispositivi di sicurezza installati, i comportamenti da assumere in caso di rapina e – nel malaugurato caso che essa avvenga – come comportarsi dopo.

Per quel che ci riguarda la F.A.I.L.P. è estremamente attenta a tutto ciò che investe la prevenzione e la sicurezza, per questo e per completezza dell’informazione riportiamo in allegato il testo della sentenza di Cassazione cui abbiamo fatto riferimento .

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati… omissis… ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 1775-2012 proposto da: … omissis… domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato… omissis…, giusta delega in atti; – ricorrente – contro POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato … omissis…, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti; – I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. , in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati … omissis…, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti; – controricorrenti – avverso la sentenza n. 726/2011 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 03/10/2011 R.G.N. 1643/2009; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. … omissis …; udito l’Avvocato … omissis… per delega verbale Omissis (POSTE); udito l’Avvocato … omissis (INAIL); udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. … omissis … che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con sentenza del 28.9-3.10.2011 la Corte d’Appello di Salerno rigettò, seppur in forza di diversa motivazione, il gravame proposto da C.M. nei confronti della datrice di lavoro Poste Italiane spa e dell’Inail avverso la decisione di prime cure, che aveva disatteso la domanda di risarcimento dei danni subiti per effetto di tre successive rapine di cui era rimasto vittima nello svolgimento della sua attività lavorativa presso l’ufficio di Roccadaspide, località Fonte. A sostegno del decisum la Corte territoriale, rilevato che la responsabilità datoriale ex art. 2087 cc non ha carattere oggettivo, ritenne l’inidoneità delle misure effettivamente adottabili a scongiurare gli eventi delittuosi, escludendo in concreto il nesso di causalità tra la mancata adozione degli accorgimenti che si assumevano essere stati omessi (sistemi di videosorveglianza, collegamento diretto con le forze dell’ordine, sistemi di apertura a tempo ovvero di allarme interno) e la verificazione degli eventi stessi. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C.M. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria. La Poste Italiane spa e l’Inail hanno resistito con distinti controricorsi.

Diritto

  1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge (in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc), il ricorrente lamenta che la Poste Italiane spa, pur avendo l’obbligo di adottare ogni cautela necessaria per scongiurare il verificarsi di eventi pregiudizievoli per i lavoratori, non abbia utilizzato tutti gli strumenti tecnici messi a disposizione dalla tecnologia dell’epoca dei fatti. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli arti 112 e 115 cpc (in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, cpc), il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia svolto argomentazioni che non avevano trovato riscontro nelle allegazioni delle parti. Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione (in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc), il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione tutte le misure effettivamente adottabili e non soltanto quelle indicate da esso ricorrente, benché la parte datoriale non avesse in concreto adottato nessuna misura di tutela, trascurando altresì l’effetto deterrente che l’adozione di opportune misure avrebbe potuto svolgere. I tre motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
  2. La disamina delle censure deve tener conto del contesto fattuale per cui è causa, caratterizzato, secondo quanto già accertato nei gradi di merito, dalle seguenti circostanze: a) gli eventi delittuosi di cui il C.M.è stato vittima si sono tutti realizzati al di fuori dei locali dell’ufficio postale e, in particolare, nel momento in cui il lavoratore era intento a sollevare la saracinesca che vi dava accesso; b) l’unica misura di tutela attuata dalla parte datoriale consisteva nell’essere il bancone protetto da vetri antisfondamento, mentre nessun mezzo di sicurezza rivolto all’esterno era stato concretamente realizzato ed attivato. La prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro è insita nella tipologia dell’attività esercitata, stante la movimentazione, per quanto contenuta essa fosse, di somme di denaro e aveva trovato un riscontro concreto nei fatti dedotti in giudizio, contrassegnati addirittura da plurima reiterazione degli indicati fatti delittuosi. Non può dunque dubitarsi che fosse preciso dovere della parte datoriale predisporre e mantenere in efficienza quei mezzi di tutela, concretamente attuabili secondo la tecnologia disponibile nel periodo, almeno potenzialmente idonei a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, in ossequio al principio dettato dall’art. 2087 cc. Il che non significa che tali mezzi dovessero essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi dovevano consistere in quelle misure che, secondo criteri di comune esperienza, potevano risultare atti a svolgere, al riguardo, una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva. Il principio richiamato dalla parte datoriale, secondo cui, in riferimento alla tutela dell’integrità fisiopsichica dei lavoratori dipendenti dalle aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi, l’ampio ambito applicativo dell’art. 2087 cc non può essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno sull’assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto, perché in tal modo si perverrebbe all’abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell’evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento (cfr, Cass., nn. 12089/2013; 15350/2001; 11710/1998), non è correttamente applicabile ad una fattispecie che, come quella all’esame, è contraddistinta dall’assenza di qualsivoglia misura specificamente diretta ad impedire o prevenire o, comunque, rendere più difficoltoso ed aleatorio il realizzarsi di eventi criminosi analoghi, nelle loro modalità di realizzazione, a quelli in concreto verificatisi. L’indagine della Corte territoriale, diretta a dimostrare, in relazione ai mezzi di tutela analizzati, la loro concreta inutilità, appare d’altra parte insufficiente sotto il profilo motivazionale, tenuto conto che: parte dal presupposto che i sistemi di videosorveglianza possano valere in linea di massima solo per la successiva identificazione degli autori dei reati, trascurando di considerare che, secondo ovvie regole di esperienza, proprio tale possibilità è in sé produttiva di effetti dissuasivi e, quindi, anche preventivi; esclude la concreta efficienza causale di altri mezzi di prevenzione non già in forza di regole certe di esperienza, ma sulla base di opinabili congetture, alle quali, proprio perché tali, se ne potrebbero contrapporre altre di segno del tutto contrastante. Nei limiti testé indicati le censure svolte meritano pertanto accoglimento.
  3. Il ricorso deve dunque essere accolto, con la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi ai suindicati principi; il Giudice del rinvio provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.  P.Q. M.La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione. Così deciso in Roma l’11 febbraio 2015.

In allegato pubblichiamo la nostra scheda riepilogativa sul tema della sicurezza negli uffici postali (cfr. doc. allegato).

 

Scheda 23 Failp rischio rapine